Progettare bene non significa fare qualcosa di perfetto, ma qualcosa che funziona davvero per chi lo vive. L’utilità è la forma più alta di rispetto verso il contesto in cui operiamo.
Cinzia Coppola
Dalla strategia alla coerenza operativa, come trasformare l’idea in valore per chi la vive
In questi anni di consulenza e progettazione ho imparato che l’impatto reale non nasce dalle buone intenzioni, né dai documenti ben scritti. Nasce da una connessione profonda tra visione, struttura e azione. Nasce dal rigore. Dall’ascolto. Dalla capacità di coniugare concretezza e ambizione.
Mi capita spesso di incontrare enti pubblici, imprese, fondazioni o associazioni che hanno ottime idee, tanta energia e il desiderio sincero di migliorare qualcosa. Ma non riescono a trasformare questo potenziale in un progetto che funzioni. Manca un metodo. Una guida. Un linguaggio condiviso. Un ponte tra ispirazione e operatività.
Questo articolo è il racconto del mio approccio, quello che applico ogni giorno in Blue Lab: un metodo che mette al centro l’utilità, la precisione, il rispetto dei contesti. Un metodo che funziona non perché è mio, ma perché aiuta gli altri a funzionare meglio.
Progettare bene: la struttura è cura
“Progettare bene” non significa scrivere testi perfetti o centrare tutte le scadenze. Significa mettere ordine nel pensiero, costruire una logica condivisa, creare una traiettoria chiara. Progettare bene significa saper tradurre la complessità in una forma gestibile, senza ridurla a banalità.
Nel mio metodo, questo si traduce in quattro pilastri operativi:
1. Analisi del contesto
Nessun progetto efficace nasce senza un’indagine attenta della realtà. Ascolto, interviste, dati, documenti: capire dove siamo è il primo passo per andare altrove con coerenza.
2. Mappatura degli attori
Chi è coinvolto? Chi è da includere? Chi può ostacolare il percorso? Disegnare una mappa relazionale aiuta a evitare conflitti, creare alleanze e costruire progetti che parlano con e non solo per.
3. Definizione chiara di obiettivi, output, impatti
Un progetto senza obiettivi espliciti è destinato a deragliare. Lavoro molto sulla distinzione tra cosa vogliamo ottenere subito e cosa vogliamo cambiare nel lungo periodo.
4. Architettura tecnico-operativa
Qui entra in gioco il cuore strutturale: tempi, ruoli, risorse, modalità di gestione, strumenti. Tutto ciò che permette a un progetto di funzionare nel concreto, anche quando l’entusiasmo iniziale si affievolisce.
Progettare utile: risolvere problemi reali, non creare complicazioni
“Progettare utile” è la parte che amo di più. Perché mi obbliga a chiedermi – e a chiedere: A chi serve davvero questo progetto? E in che modo migliora la vita, il lavoro o l’ambiente in cui si inserisce?
Troppe volte vedo progettualità ben finanziate che però, sul campo, non risolvono nulla. O peggio, creano ulteriore complessità. Succede quando si progettano prodotti inutili, servizi ridondanti, strumenti che nessuno vuole usare.
Per progettare utile serve:
- capire il bisogno reale, non solo quello dichiarato;
- lavorare con chi vive il problema, non solo su chi lo studia da fuori;
- avere il coraggio di ridurre, semplificare, tagliare ciò che non serve.
Ogni progetto che scrivo lo rileggo almeno due volte con questa domanda in mente:
“Se io fossi l’utente finale, mi servirebbe davvero?”
Dal progetto al processo
Un altro elemento chiave del mio metodo è non vedere il progetto come un blocco isolato, ma come un processo vivo.
Un buon progetto:
- prepara ciò che verrà dopo;
- si connette con ciò che è già stato fatto;
- lascia tracce riutilizzabili;
- forma competenze, non solo eroga servizi.
Progettare con questa mentalità significa costruire percorsi trasformativi, non eventi isolati. Ecco perché, quando accompagno un cliente, chiedo sempre:
- Che cosa resterà, una volta chiuso il progetto?
- Come possiamo integrare questo intervento nella strategia più ampia?
- Quali capacità stiamo attivando internamente?
EDIH come contesto utile per progettare bene
Lavorare oggi nel quadro del progetto EDIH ci ha permesso in Blue Lab di applicare concretamente questo metodo. Grazie alla logica dei voucher, possiamo:
- iniziare dai bisogni reali (assessment);
- calibrare soluzioni su misura (test before invest);
- formare persone e processi insieme;
- evitare sprechi e moltiplicazioni inutili di strumenti.
EDIH ci permette di essere al fianco delle PA e delle imprese non come consulenti esterni, ma come facilitatori di un’evoluzione che parte da dentro.
E quando una PA o una PMI inizia a pensare sistemicamente, a strutturare bene le proprie domande, a progettare non solo per ottenere ma per restituire… allora sì, quel progetto ha un impatto reale.
Metodo e presenza
Alla fine, quello che porto in ogni percorso è questo: un metodo rigoroso e una presenza costante. Non amo l’improvvisazione. Credo nella responsabilità. Credo che ogni parola scritta in un progetto pubblico debba essere coerente con ciò che si può e si intende davvero fare.
E credo che la consulenza, se ben fatta, non serva a impressionare, ma a costruire strumenti solidi per il cambiamento.






